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Il Borgo Rovereto costituisce il cuore antico della Città e custodisce alcune delle testimonianze storiche relative al periodo medievale che meglio si sono conservate (come la chiesa di Santa Maria di Castello, nell’omonima piazza) tra le numerose trasformazioni urbanistiche che la Città di Alessandria ha subito nel corso dei secoli.
In età medievale Alessandria diviene sede di importanti ordini religiosi, ai quali si deve l'edificazione delle chiese di San Francesco, di Santa Maria del Carmine e del Duomo di San Pietro (in piazza Libertà, fatto abbattere da Napoleone Bonaparte nel 1803). Rilevante la presenza in città del Movimento degli Umiliati che introduce nuove tecniche per la lavorazione dei tessuti, in particolare della lana. Di tale presenza è testimonianza la Casa degli Umiliati, che conserva resti significativi dei laboratori medievali e un'ampia sala per le attività manifatturiere nota come Tinaio degli Umiliati.
Dagli inizi del Trecento, la città si pone sotto la protezione dei Visconti di Milano per poi passare agli Sforza a metà del XV secolo.
La chiesa di Santa Maria di Castello viene indicata come luogo più antico della città.
L’edificazione della Chiesa va posta in relazione con le dinamiche dell’insediamento e del popolamento del Borgo Rovereto, sede di mercato, presso il ponte sul Tanaro, difeso dal “castrum” fortificato.
La chiesa, così come si presenta oggi, risale al XV secolo e fonde nella sua struttura stili di epoche diverse, come quello tardo - romanico della costruzione con il portale rinascimentale e, al suo interno, diverse opere di epoche successive (il crocefisso, l'altare, la fonte battesimale, la sacrestia).
Nei sotterranei, da qualche tempo riaperti al pubblico, si possono osservare i resti di due precedenti edifici di epoca altomedievale: una chiesa ad aula (VIII – X sec) ed una seconda di impianto triabsidale collegabile a modelli carolingi.
La chiesa, elevata nel 1629 alla dignità di abbazia, fu parrocchia affidata al clero secolare.
Molto importante anche il convento adiacente affidato prima ai Padri Somaschi e successivamente alle Suore di Carità. Nel Risorgimento Italiano fu utilizzato come caserma e come reparto ospedaliero, durante le epidemie in cui venivano isolati malati contagiosi. Di proprietà del Demanio a partire dal 1866 fu destinato in parte ad accogliere magazzini, prigioni e corpi di guardia. Durante la prima guerra mondiale fu utilizzato insieme a parte della chiesa come deposito di generi di monopolio.
Nonostante una fase di decadenza, negli ultimi anni sono stati notevoli i lavori di restauro e consolidamento statico. Nel 2017 sono stati completati i lavori di restauro e di riqualificazione urbanistica dell’intera piazza che hanno consentito di valorizzare ulteriormente la struttura.
Un po’ di storia:
750– 1107 d.C.: Esisteva già allora, non lontana dal fiume, una chiesa paleo -cristiana di forma preromanica ad aula absidata.
1107– 1268 d.C.: In questo periodo venne completata, con la costruzione del transetto, la fase in stile romanico, simile alla forma attuale.
1268 – 1540 d.C.: Dopo un lungo periodo di decadenza si procedette, in questi anni, ad una riprogettazione della chiesa con il rifacimento del campanile, la costruzione dell’abside, della cappella maggiore e delle navate laterali. Venne anche realizzato il chiostro.
1540 – 1887 d.C.: Per tre secoli nulla cambiò se non la funzione della chiesa, da monastero ad abbazia, da parrocchia a ospedale e persino a caserma.
1887 – 1970 d.C.: Negli anni più vicini a noi, venne rialzato il campanile, si iniziarono gli scavi archeologici e si impostarono i restauri.
Gli Umiliati milanesi, ordine formato in origine da laici che intendevano vivere con le loro famiglie alla maniera monastica e comunitaria, erano scesi in Alessandria e avevano fondato il complesso di San Giovanni del Cappuccio.
Nel corso del XIV secolo gli Umiliati aprirono nel convento un opificio per la lavorazione della lana. A questa prima fase risalirebbe la costruzione romanica della chiesa (fine secolo XII) di cui rimane solo il pregevole campanile romanico-gotico (XIII – XIV secolo) coronato da una cuspide ottagonale che copre la cella campanaria.
Agli inizi del 1300 “l’opificio” di San Giovanni del Cappuccio si avviò a diventare un centro importante di produzione dei tessuti di lana “panni humiliati” o “panni lombardi”, con opifici satelliti in città e nei dintorni.
Nel complesso religioso di San Giovanni vivevano e lavoravano 63 fra monaci, monache e servi, e altrettanti lavoravano negli opifici dipendenti dalle chiese di San Matteo (in Via Trotti), di San Siro (fra Via Vochieri e Via Dossena - demolita nel 1831) e San Baudolino (fra via Pistoia e via del Prato, demolita nel 1803), tutti impegnati nella produzione di tessuti di lana che venivano esportati anche all’estero.
L’attività di produzione tessile degli Umiliati fece di questi religiosi una potenza economica di cui le autorità locali tennero conto affidando loro importanti compiti.
Pio V , due secoli dopo, ne condannò la grande ricchezza e l’indipendenza economica. Nel 1621 la Chiesa passò ai Padri Minimi di San Francesco da Paola.
Negli anni 1745 e 1746, in periodo bellico, l’edificio religioso venne adibito a ospedale militare.
Nel 1779, durante il governo francese, il convento fu adibito a ospedale militare e nel 1800, soppresso il convento, la chiesa venne convertita in magazzino.
Nel 1828 l’autorità militare, prevedendo di demolire l’isolato per ampliare le fortificazioni della testa del ponte sul Tanaro, ordinò lo sgombero del convento.
I religiosi si trasferirono nel 1830 in S.S. Anna e Teresa e la chiesa venne ceduta dal Governo alla Confraternita di San Rocco, e nel 1916 ci fu la costituzione in Parrocchia col titolo di Santi Barnaba, Rocco e Baudolino.
Unico superstite dell’antico convento è l’edificio detto “Tinaio”.
Il “Tinaio” è suddiviso in due navate da pilastri cilindrici con capitelli cubici, smussati alla base, che reggono volte a crociera a spigoli vivi. La struttura che risale al secolo XIII e ancora si impone per l’ampiezza di circa 300 mq, la solidità e le linee severe.
Si tratta di un seminterrato, ma con l’inizio a livello strada, a cui si accede da via Lumelli.
Disposto parallelamente alla via, presenta finestre aperte sui cortili interni: un paio di esse, e due porte dotate di accentuata strombatura, sono medievali. In questo locale si svolgeva probabilmente l’operazione della torcitura e vi erano installate delle “gualchiere” che sfruttando l’energia idrica, fornita da una diramazione del canale della Rosta parallela a via Lumelli, eseguivano meccanicamente la follatura dei panni-lana.
La Chiesa di San Francesco, con l’annesso convento, era uno degli edifici gotici di maggior importanza della Città di Alessandria. Sfortunatamente, come altri monumenti medievali, ha subito nell’Ottocento vicende che ne hanno portato alla trasformazione, tanto che oggi difficilmente il visitatore che passi davanti all’edificio riesca a riconoscervi l’uso originario. I lavori della chiesa dovettero iniziare allo scadere del XIII secolo e furono portati a termine nei primi decenni del Trecento. Sede dell’antico insediamento dell’Ordine dei francescani in città, l’originaria struttura di chiesa a sala è stata modificata con tramezze in occasione della trasformazione ottocentesca in ospedale militare. Notevole la decorazione pittorica policroma delle volte e alcune tracce di affreschi tra cui una Madonna con bambino e due angeli, risalenti alla prima metà del XIV sec.
Il mattone a vista caratterizza tutto l’aspetto esterno della Chiesa mentre il prospetto laterale, verso via San Giacomo della Vittoria, mantiene parti della decorazione in cotto della fascia sottogronda; appare ben conservato anche il campanile, scandito da una serie di archetti pensili ogivali su registri sovrapposti.
La facciata su via XXIV Maggio (larga circa 22 metri) è ancora leggibile nelle sue linee essenziali, divisa in tre campi da quattro contrafforti. Presenta in quello centrale il portale ad arco a pieno centro.
Il frontone doveva risultare rialzato e terminare a capanna, logica conseguenza della forma originaria del finestrone, ancora adorno della decorazione in cotto ma tagliato dal cornicione.
Con la soppressione degli Ordini Monastici, il convento di San Francesco divenne proprietà del Demanio. Il Decreto emesso a Saint Cloud il 23 Germinale - anno XI (1803) lo destinò a caserma di cavalleria.
L’edificio fu quindi tramezzato orizzontalmente (1816) con la costruzione di un voltone e del soprastante pavimento, all’altezza di 5,80 metri rispetto al piano terreno. Più tardi venne costruito un “cavedio” (chiostrino) nella parte centrale, per la presa d’aria e luce dal tetto. Scopo di quell’intervento fu recuperare spazio allestendo i magazzini al piano terra e i dormitori al piano superiore.
Palatium Vetus è uno dei più antichi edifici della città di Alessandria. Ha avuto funzione di broletto, nei secoli XIII e XIV, quindi centro della vita politica, amministrativa e giudiziaria del comune medievale.
Il nome di “palatium vetus” appare per la prima volta negli Statuti cittadini di fine Duecento, forse per distinguere questo edificio da un “palatium novum”, secondo palazzo pubblico della città. L’originale consistenza del “palatium vetus” prevedeva affacci sulle attuali vie Migliara e dei Martiri, nonché su Piazza della Libertà, esattamente in corrispondenza dell’ingresso all’antica cattedrale. Nel palazzo ebbero sede gli uffici del Podestà, del Capitano del Popolo, le carceri ed il Pretorio: si svolsero qui le principali vicende della storia medievale di Alessandria.
All’inizio dell’Ottocento, Napoleone modificò completamente l’assetto della piazza e ristrutturò l’edificio, definendo un nuovo allineamento sulla piazza, abbattendo i portici antistanti e modificandone gli interni. Con la restaurazione ed il ritorno dei Savoia, il palazzo tornò ad ospitare il Governatorato Militare fino al 1856.
In quell’anno, infatti, il Comune, che fin dalle origini ne era stato proprietario, lo cedette allo Stato.
La destinazione a usi militari vide il “palatium vetus” utilizzato come sede dei Comandi di Presidio (anche con il nome di “Caserma Maggi”) e poi come Distretto Militare locale, fino a quando, nel 2002, dopo un prolungato periodo di inutilizzo, l’edificio fu ceduto a privati.
Le continue modificazioni, dovute alle diverse funzioni che si sono susseguite negli anni, hanno pesantemente segnato e ripetutamente modificato le linee dell’edificio. Restano comunque alcune importanti tracce della storia passata recuperate con un corposo intervento di restauro curato dalla Fondazione Cassa di Risparmio di Alessandria che lo ha acquisito per ospitare la propria sede.
L'antico broletto, di architettura tipicamente lombarda, composto da un portico al piano terreno e da una sala al primo piano è tornato perfettamente distinguibile dopo la rimozione delle pesanti intonacature sette-ottocentesche. Uno dei due cortili si presenta oggi parzialmente circondato da un portico con archi a sesto acuto. All'interno dell'aula del broletto, al primo piano, sono state rinvenute numerose finestre a trifora tamponate e vari grandi frammenti di affreschi che vanno dal XIII secolo al XVI secolo tra i quali quello che raffigura la prima rappresentazione dello stemma della Città di Alessandria: una croce rossa in campo bianco.
La chiesa di Santa Maria del Carmine è considerata una delle più belle dell’alessandrino, con il suo particolare stile gotico lombardo. La sua costruzione iniziò intorno al 1320, ma la chiesa originaria fu sostituita nella seconda metà del secolo con un altro edificio, più grande e con l’aggiunta di un chiostro, per opera dei Padri Carmelitani, che erano presenti sul territorio già alla fine del XII secolo e che con il contributo di alcune ricche famiglie della città restaurarono la struttura.
La costruzione fu ampliata a partire dal 1466, con l’aggiunta della cappella Maggiore, ma i lavori continuarono fino al XVI secolo, portando alla realizzazione delle navate, delle altre cappelle e della sacrestia (1576). Nel XVIII secolo la chiesa andò incontro a un periodo di forte degrado, quando dal 1745, al tempo della guerra di successione austriaca, essa fu ridotta a ospedale militare e subì gravi manomissioni.
Sul principio del 1800 fu adibita a sede della Guardia Nazionale dal Governo Napoleonico, fino a quando nel 1865 iniziò una fase di restauri che durò fino al 1954, con l’intento di restituirle la sua originaria bellezza gotica. I restauri hanno riportato alla luce i mattoni e la pietra originari e sono stati risistemati gli altari in pietra e marmo. La chiesa presenta una bella facciata tripartita conclusa da pinnacoli e adornata da un portale strombato, mentre all’interno è suddivisa in tre navate, suddivisa da pilastri cruciformi che sostengono gli archi e le volte a crociera costolonate. Le navate laterali conducono a cappelle a terminazione piana, mentre quella centrale termina in un’abside poligonale. Sono diversi i dipinti custoditi nel tempio, opera di artisti di scuola piemontese come Giovanni Martino Spanzotti e Gaudenzio Ferrari, risalenti al periodo 1550-1560. Si ricordano una Madonna del Rosario e la Cena di Emmaus (secolo XVI), un polittico del XVI secolo con scene della Crocifissione e Santa Lucia tra le Sante Barbara e Agata (secolo XVII), un trittico con Santa Teresa e Crocifisso (secolo XVIII).
Fu costruito alla fine del Quattrocento come residenza degli Inviziati, illustre e ricca casata alessandrina. Nella seconda metà del Cinquecento, dopo una serie di passaggi di proprietà, il Palazzo fu acquistato dal Vescovo Guarnero (o Guarnerio) Trotti Bentivoglio, che lo scelse come propria dimora e ne fece la sede stabile della Curia Vescovile.
Nel 1670 l’edificio fu ampliato dal Vescovo Carlo Ciceri e, nel corso dell'Ottocento, subì ulteriori modifiche. Furono ospiti del Palazzo l'imperatore Carlo V (1536) e i Papi Paolo III (1538) e Pio VI (1799). Nelle stanze al pianterreno si ammirano stupendi soffitti a cassettoni decorati (databili non più tardi del 1494) ed è stato sistemato l'archivio della Curia. Nelle sale a pianterreno (nei locali che ospitano gli uffici della Curia) vi sono pregevoli decorazioni pittoriche.
Eretta dopo la battaglia che nel 1391 vide l’esercito alessandrino comandato da Jacopo Dal Verme e Andreino Trotti opporsi vittoriosamente alle truppe francesi del conte d’Armagnac, è stato oggetto di interventi cospicui nel corso dei secoli che ne hanno snaturato l'originaria forma trecentesca.
Le primitive strutture sono state inglobate nella trasformazione sette-ottocentesca.
Nel corso dei secoli la chiesa venne utilizzata come ospedale poi come magazzino; l'annesso convento fu adibito a caserma dei Carabinieri e successivamente passò ai Padri Cappuccini. Infine, chiesa e convento furono assegnati ai Serviti.
La facciata è caratterizzata da elementi che rimandano allo stile rinascimentale: la suddivisione in due fasce orizzontali - di cui quella superiore aperta da un grande rosone - sormontate dal timpano, la scansione in verticale data da lesene scanalate, il portale di ingresso inquadrato da colonne su alto basamento e incorniciato da spesso cornicione a fascia. Ai lati del portale d’ingresso sono i bassorilievi di due Santi.
La chiesa di S. Giacomo della Vittoria è un gioiello storico-artistico, simbolo architettonico per la città di Alessandria dell’epoca rinascimentale. Oggi si presenta ad aula unica con volta a botte e abside poligonale mentre le pareti perimetrali sono scandite da tre archi per lato; il rivestimento marmoreo dei pilastri è riconducibile a un intervento novecentesco. La volta presenta motivi decorativi ad affresco e cornici in stucco dorato riconducibili agli anni '50-'60 dell'Ottocento.All’interno: affresco raffigurante una “Madonna del latte” (1395), attribuito al pittore lodigiano detto “Maestro di Ada Negri”.
Eretta in epoca medievale dalla famiglia degli Stortiglioni nell'antico insediamento di Marengo, è associata nella tradizione popolare al nome della regina longobarda Teodolinda (per cui è chiamata anche Torre di Teodolinda). Già documentata in un atto del 1107, faceva parte del nucleo fortificato di Rovereto, preesistente alla fondazione di Alessandria. Appartenente ad un complesso di torri di avvistamento costruite nel XII secolo per il controllo della zona, fu una quinta scenica perfetta per la battaglia di Marengo.
La costruzione presenta pianta quadrata e cortina muraria in laterizio, coronata superiormente da una fascia dentellata. E' visibile dal parco del Museo della Battaglia e, nonostante sia stata snaturata nelle sue forme dalle superfetazioni dei secoli successivi, rappresenta una delle costruzioni più antiche di Alessandria a ricordo delle pertinenze di epoca longobarda che dovevano svilupparsi nella regione della Fraschetta.
La torre (sec. XIII) fu inglobata in un’elegante residenza del Seicento e abbellita successivamente anche con opere di Carlo Caniggia e Francesco Mensi. Il castello passò dai Bagliani agli Inviziati, ai Petitti e ai Parravicini. Ceduto da questi, fu adibito a ospedale militare (1915-18) e a sede zonale del P.N.F. L’abbandono degli ultimi 45 anni ha causato la scomparsa del muro di recinzione e dell’ampio e ricco giardino.