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Alessandria nel Settecento diventa una provincia del regno Sabaudo. Inizia un nuovo periodo storico per la Città che si concluderà con il raggiungimento dell’Unità nazionale. Vittorio Amedeo II dà l’avvio ad una politica caratterizzata da una spiccata vocazione militare del territorio, con funzione difensiva, che sarà seguita anche dai suoi successori. Risale a questo periodo l’avvio dei lavori per la Cittadella con la relativa distruzione del Borgo di Borgoglio ed il trasferimento, nel centro cittadino, delle sedi nobiliari ed ecclesiastiche.
In pochi decenni la città cambia completamente volto. In questo periodo si definisce l’ossatura da cui la città trae la sua fisionomia attuale. Fu protagonista di queste modifiche l’architetto Giuseppe Caselli a cui vennero affidati dal Comune, numerosi progetti tra cui la costruzione dell’Ospedale, delle carceri,dei pubblici macelli, dell’edificio della fiera e del palazzo civico con annesso teatro. Alcune delle più belle dimore nobiliari alessandrine sono databili in questo periodo.
Edificio in stile barocco piemontese, è uno dei più monumentali del centro storico cittadino. Deve il proprio nome al suo committente, il marchese Tommaso Ottaviano Antonio Ghilini che lo fece edificare nel XVIII secolo. La storia della famiglia Ghilini si muove in parallelo con la storia della città di Alessandria fin dalla sua fondazione: vescovi, cardinali, letterati, capitani d'arme, diplomatici, molte sono state le figure di rilievo che, con altre famiglie alessandrine, hanno contribuito alla crescita e lo sviluppo della città. Il palazzo Ghilini può essere considerato il punto di arrivo architettonico di un percorso cominciato molti secoli prima. Il progetto fu affidato alle cure del nipote del marchese, l'architetto Benedetto Alfieri, al quale subentrò verso la metà del secolo l'architetto, Giovanni Battista Gianotti. La costruzione del palazzo ebbe inizio dal corpo principale dell'edificio che venne realizzato sotto la direzione di Domenico Caselli e terminato nel 1732. In seguito, nel 1766, fu costruita la parte settentrionale e solo verso la metà del XIX secolo l'ala sud che si affaccia su via Parma. Con la restaurazione della famiglia Savoia il palazzo passò allo stato divenendo palazzo Reale. Successivamente nel 1869, il Consiglio Provinciale acquistò il palazzo per diventare sede del Consiglio, della Giunta, di diversi uffici amministrativi e sede della Prefettura di Alessandria.
Palazzo Cuttica di Cassine fu fatto costruire nel XVIII secolo dal Marchese Cuttica di Cassine e presenta uno stile tra il rococò ed il classicismo. Esso divenne in breve tempo un centro mondano che accoglieva i migliori ingegni della città. Nel periodo napoleonico il palazzo venne scelto come abitazione dal generale francese Chasseloup e in seguito dal generale Despinois. Nel 1806 esso divenne Prefettura di Marengo e infine venne acquistato dal Comune che vi inserì la Prefettura, l'Amministrazione Provinciale, gli Uffici finanziari e in seguito gli Uffici postali e il Tribunale. Oggi il Palazzo accoglie il Conservatorio Statale di Musica "Antonio Vivaldi", la scuola media annessa ed è sede del museo civico cittadino.
Detto Palazzo Rosso, dal colore della facciata, fu fatto costruire a partire dalla seconda metà XVIII secolo. La facciata è impreziosita da un particolare orologio a tre quadranti e presenta sulla sommità il ‘galletto’ sottratto dagli alessandrini ai casalesi nel 1225.
I lavori per la sua costruzione cominciarono nel 1772 su disegno dell'architetto Giuseppe Caselli, ma agli inizi dell'Ottocento furono sospesi, per poi riprendere nel 1825 e terminare nel 1830 con la guida dell'architetto Leopoldo Valizzone.
L'edificio visibile oggi è frutto di un notevole intervento di ricostruzione apportato nel periodo post bellico, dopo i danneggiamenti subiti a seguito dei bombardamenti del 1944. All'interno del palazzo esisteva il teatro municipale. La struttura subì alcune modifiche nel biennio 1853-1854. Il teatro fu distrutto nel 1944 a causa di un bombardamento alleato. Durante gli anni '50 si pianificò la ristrutturazione dell'ala del palazzo distrutta, ma senza ricostruire il teatro. Attualmente rimane visibile solo l’area dell’antico foyer in cui ha sede l’Ufficio Relazioni con il Pubblico dell’Ente.
Attuale sede della Cassa Risparmio di Alessandria, sorge su un vasto aggregato di edifici che occupava un sedime già sede di un palazzo nel 1494. Il nucleo principale ristrutturato da Giovanni Tommaso Ghilini verso il 1745, pervenne in eredità alla nipote, Daria Delfina, contessa di Sambuy. Nel secolo scorso fu sede dell'albergo Universo, ove soggiornò Garibaldi ed ospitò poi la Banca Popolare Cooperativa Agricolo-Commerciale di Alessandria.
E’ un edificio storico di Alessandria, situato nella omonima via dei Guasco, la cui storia risale ai primi secoli dalla fondazione della città. L'ala destra del palazzo è, oggi, sede di alcune sezioni dell'amministrazione provinciale. Sono in attesa di restauro alcuni saloni del palazzo che conservano la struttura architettonica settecentesca.
L'ala sinistra del palazzo è proprietà privata.
L'attuale conformazione del palazzo è del XVIII secolo, risultato dei lavori di rifacimento voluti dal marchese Lodovico Guasco-Gallarati di Solero (1723-1784). Alla morte del marchese Lodovico, il 20 marzo 1784, il palazzo è stato ereditato da Paolo Guasco di Bisio e Francavilla. Nel nuovo clima politico creatosi all'indomani del trattato di Utrecht, la Città di Alessandria trovò nuovi spunti e nuovi stimoli per la vita sociale cittadina. In questo contesto il marchese Don Filippo Guasco Gallarati di Solero decise di incorporare un piccolo teatro pubblico nel palazzo. Nasceva così il primo teatro cittadino che venne inaugurato nel settembre del 1729.Vi è però sempre stato un certo antagonismo aperto della borghesia nei confronti della struttura e le cronache del tempo non hanno lasciato che poche tracce quasi tutte di avversione all'opera divulgativa del teatro cittadino, considerando dissoluti gli spettacoli e criticando le spese sostenute per gli allestimenti degli spettacoli. Nel 1766 la sorda avversione della borghesia e del clero contro il teatro finì per stancare i marchesi di Solero e quindi il teatro venne chiuso definitivamente.
Nel 1800 muore Paolo Guasco di Bisio e Francavilla e il palazzo viene ereditato dal figlio Francesco, notabile alessandrino, investito di alte cariche cittadine durante la dominazione francese. Il palazzo passò poi al nipote Emilio nel 1814, e dopo di lui nel 1847 al pronipote marchese Francesco Guasco Gallarati di Bisio (1847-1926). Il marchese Francesco Guasco Gallarati di Bisio e Francavilla (1847-1926) con testamento olografo del 28 dicembre 1919, pubblicato solo il 7 settembre 1926, ha ceduto al Comune di Alessandria il palazzo Guasco sia come testimonianza di inestimabile patrimonio storico, ma anche per destinarlo a luogo di arte e cultura: museo, pinacoteca, biblioteca. Il Comune di Alessandria rinunciò formalmente al lascito e quindi il palazzo è tornato al legittimo erede, il principe Emilio Guasco Gallarati marchese di Bisio e Francavilla (nato nel 1878).
E’ un palazzo settecentesco costruito per i Civalieri, famiglia patrizia casalese risalente ad un Ambrogio di Evandro cancelliere del Duca Francesco Sforza. Nel sec. XVIII il Conte Piero sposò Teresa Sappa dei Milanesi degli Inviziati, appartenente ad una delle famiglie più nobili ed in vista di Alessandria e da allora i Civalieri si stabilirono in città entrando a far parte dell'aristocrazia locale. Il palazzo è articolato in piano interrato cinquecentesco con splendide cantine in parte in mattone a vista (sorgeva sul chiostro di un antico monastero di cui sono rimaste tracce nelle colonne di arenaria del medesimo ritrovate e restaurate), in un piano terreno completamente restaurato e in un piano nobile con splendidi stucchi, affreschi e portali, ancora da restaurare. Comprende, inoltre, due piani ammezzati già restaurati di cui uno con affresco a “grottesche” restaurato e recante la data apposta a mano dal pittore: 13 giugno 1735 scritta in oro zecchino (presente anche in alcuni fregi). Il terzo piano è costituito dal sottotetto ancora da restaurare.
Il Palazzo ha un cornicione in muratura reggente travi lignee la cui testata è mantenuta a vista e presenta una tipologia insolita per la città. Elemento architettonico caratteristico è l'ingresso a esedra, aperto da due portali d'accesso al cortile ornato da stemmi gentilizi a fresco. Un motivo ornamentale che non trova riscontro in altri edifici coevi è dato dalle finestre dell'ammezzato, prevalentemente murate. Restaurato parzialmente negli anni '90, oggi è sede di un colorificio.
Antica residenza dell’omonima famiglia, venne costruito verso la metà del Settecento per conto di Carlo Giacinto Prati. Nel corso degli anni ha subito numerose modifiche; nelle forme attuali l'edificio è articolato in un corpo principale prospettante via XXIV Maggio e in due ali lungo via Verdi e via san Giacomo della Vittoria. Durante la Seconda Guerra Mondiale è stato seriamente danneggiato e successivamente in parte manomesso. Esternamente manca quasi del tutto di elementi decorativi e la facciata appare estremamente povera di abbellimenti. Articolato su tre piani (rialzato, piano nobile con soffitti decorati e ammezzato) ha un androne porticato su cui si affaccia uno scalone in pietra che dà accesso ai piani superiori.
Palazzo in stile barocco aveva nel seicento, quando fu acquistato dal marchese Sibaldi, una fisionomia molto diversa da quella attuale. Nel 1750 la famiglia Sibaldi cedette il palazzo al marchese Capriata di Valenza che lo riedificò nelle forme attuali e realizzò una residenza signorile tra le più lussuose della città. Lo ereditò la figlia Cristina, sposata con Andrea Alimento Prati, marchese di Rova. Presenta un portone con ingresso ad arco ed ampie finestre, ricche di cappelli armonici che denunciano l’influenza dell’architetto, Benedetto Alfieri. All’interno è presente un ampio cortile, un atrio a colonne, uno scalone monumentale ed un loggiato.
Iniziato dal conte, Giovanni Battista Conzani, agli inizi del ‘700 e ampliato su disegno dell’architetto, Giuseppe Caselli. Insieme al palazzetto Conzani è quanto rimane di un complesso di fabbricati che si estendeva sull’intero isolato. La residenza è articolata in un piano terreno, un piano nobile, pseudo-ammezzato ed un piano superiore. Presenta una facciata in laterizio coronata da cornicione in pietra, ornata da lesene colossali, tra le quali si aprono finestre. Il prospetto è abbellito da un originale balcone a profilo concavo, che sovrasta il portale dal quale si accede all'atrio comunicante a destra con lo scalone.
Edificato nella seconda metà del 1700, era la residenza di un ramo dei conti Conzano. Attribuito all’architetto alessandrino, Domenico Caselli, presenta il tipico paramento in mattoni a vista. Sul prospetto interno alla corte è murata una palla di cannone risalente all’assedio che la Città subì nel 1745.
Palazzo in stile barocco che apparteneva ai marchesi dal Pozzo una tra le famiglie più importanti di Alessandria. Ai marchesi dal Pozzo appartenevano inoltre tutti gli isolati intorno a via Maestra (l'attuale via Milano), a partire da piazzetta san Giovanni delle Rane (oggi piazzetta Santa Lucia) fino alla piazzetta di Monserrato. Venne costruito nella seconda metà del Settecento, da un architetto sconosciuto, nello stile tipico del barocco piemontese, su due piani fuori terra come voleva l'uso del luogo e le necessità militari. La facciata è resa più ricca da poggioli bombés in ferro battuto molto belli e le finestre alternano nei loro timpani elementi angolari e curvilinei creando un ottimo rapporto di vuoti e pieni. Da alcuni elementi architettonici che si riscontrano al piano terreno, si ipotizza che il palazzo dovesse avere un cortile-giardino interno. Lo scalone, che è ricco di stucchi, è costruito con motivi che simulano delle volte pensili ed è apprezzabile per i rapporti e le proporzioni. Al piano nobile, nello stile tipico delle case settecentesche, si trovano le camere adibite alla servitù allineate l'una all'altra sul fronte interno ed esterno. Secondo lo storico alessandrino Fausto Bima "Le caratteristiche dell'edificio sono due: quella di ambienti tutti ben proporzionati fra loro, senza il consueto contrasto di altezza e di dimensioni fra saloni e salotti e quella di una serie di decorazioni alle pareti ed ai soffitti che rappresentano la media di quello che si usava in una casa patrizia piemontese della seconda metà del '700. Nulla di modesto e neppure nulla di ostentatamente sfarzoso: il giusto mezzo". Il palazzo ospitò dal 1862 al 1868 la Società del Casino e per alcuni decenni l'Archivio Notarile e dal 1962 al 1982 nuovamente la Società del Casino.
Edificato verso il 1760 dal marchese Domenico Ferrari, presenta la classica tipologia dei palazzi settecenteschi: struttura a tre piani, ingresso con androne e scalone con colonne.
Si tratta di uno dei più caratteristici palazzi signorili della Città di Alessandria. Residenza dei conti Figarolo di Gropello, il complesso architettonico che comprendeva l'intero isolato conserva ancora molto della passata eleganza, anche se ha subito trasformazioni e gravi mutilazioni nel corso del tempo. Nella configurazione originaria la facciata era quella prospettante in via San Lorenzo, con l’ingresso principale che era sito in corrispondenza dell'attuale civico 100. I vari rifacimenti hanno spostato l’entrata principale e quindi la prospettiva del palazzo.
Raro esempio di arco settecentesco fu costruito nel 1768 da Giuseppe Caselli per ricordare la visita, di tre anni prima, del Re di Sardegna Vittorio Amedeo III e della sua consorte Maria Antonia Ferdinanda di Borbone. È stato restaurato due volte durante il XIX secolo.
Opera dell’architetto Giuseppe Caselli, fu realizzato fra il 1782 ed il 1790; fu successivamente completato nell’800 da Leopoldo Valizone e Alessandro Antonelli, progettista della celebre Mole torinese. Fanno parte del progetto originario la facciata neoclassica, la chiesa ed i portici laterali.
Sorge sulla piazzetta omonima sul sedime dove un tempo si trovava la chiesa di S. Giovanni delle Rane. Nel Quattrocento la chiesa comprendeva una cinquantina di persone ed era retta da un priore, nel 1567 fu eretta a prebenda canonicale del duomo. Tra la fine del sec. XVII e l'inizio del sec. XVIII, la chiesa divenne sede di quattro confraternite: S. Caterina, S. Lucia, S. Paolo e S. Urbano. Nel 1751 iniziò la demolizione della vecchia chiesa e il 1/11/1759 fu consacrata quella nuova. Ogni anno, ricorrendo la Festa di S. Lucia (13 dicembre), la chiesa diventa il centro di pratiche devozionali e di iniziative di carattere benefico; la piazzetta si anima di bancarelle che offrono dolci e il tradizionale "LECABON".
Oggi conosciuta come Chiesa di Santo Stefano, è legata alle vicende dell’Ordine dei Servi di Maria. I Serviti, infatti, nel 1728 furono costretti ad abbandonare il loro primitivo convento di S. Stefano in Borgoglio per la costruzione della Cittadella, ma solo nel 1741 si autorizzò la costruzione di una chiesa nuova, consacrata infine nel 1773. Tuttavia la piccola chiesa fu destinata a sacrestia poiché non ebbe riconosciuto lo stato di parrocchia. Nel settembre 1802, con l’occupazione francese, il convento fu soppresso: la struttura diventò per breve tempo ospedale militare, poi magazzino per l’esercito, per tornare ai Serviti nel 1817. Questi lo abbandonarono per dissidi con la Curia nel 1850, sicché esso fu ceduto al demanio e la parrocchia passò al clero secolare. Pochi anni dopo, il suo ambito venne esteso al quartiere della Cittadella per cui la cura d’anime di tutti gli abitanti della fortezza è delegata alla chiesa parrocchiale dei Santi Stefano e Martino. La facciata in mattoni tardo barocca con aspetti già neoclassici, non fu mai portata a compimento come testimonia l’assenza del timpano di coronamento. Al centro della facciata della chiesa alessandrina si apre un unico e ampio portale preceduto da una scalinata e sormontato da un timpano curvo. Conserva all’interno un pregevole affresco del ‘400 raffigurante una ‘Madonna del parto’ e dipinti di Francesco Mensi e Luigi Masrellez.
Sita nell’omonima piazza di Alessandria, ha origini molto antiche: fu edificata, infatti, nel XII secolo, dall’Ordine degli Umiliati che aggregarono le varie comunità presenti sul territorio. Era un tempo dedicata a San Giovanni del Cappuccio. Dopo la soppressione dell’Ordine degli Umiliati, il convento e la chiesa di San Rocco furono affidati ad altri ordini religiosi, che effettuarono importanti interventi di restauro, modificando parzialmente l’originalità del complesso. Ricostruito nel 1779, l'edificio appartiene al maturo barocco piemontese (un disegno per una cupola, mai realizzata, è firmato da Bernardo Vittone). Interessante soprattutto l'impianto dell'interno, valorizzato da recenti restauri, tra i quali l’organo storico Lingiardi, e arricchito da diverse opere pittoriche: un San Francesco Paola del XVII secolo, una tela del pittore alessandrino Francesco Mensi, i Santi Barnaba e Rocco e l’Orazione nell'orto dei Getzemani, una Crocifissione di autore ignoto del XVII secolo. Notevole l’altare maggiore, in legno finemente intagliato e dorato. Dal punto di vista architettonico è da notare il campanile, di forme in parte romaniche e in parte gotiche. Il subentro, nel 1830, della Confraternita dei Santi Barnaba e Rocco fecero sì che la chiesa fosse dedicata a San Rocco in seguito alla demolizione di una chiesa seicentesca costruita per voto comunale e poi demolita. Il primo conflitto mondiale vide l’edificio trasformarsi in un magazzino per foraggi, fino al 1924, quando fu eletta parrocchia. Attualmente è sede di un’importante Accademia di musica sacra antica intitolata al santo.
Voluta dai Barnabiti e consacrata dal vescovo De Rossi nel 1758 è attribuita all’architetto alessandrino Domenico Caselli. Dal 1803 al 1810 fu sede della Cattedrale dopo la distruzione del vecchio Duomo ad opera di Napoleone.
Conserva all’interno opere di Salvatore de Rosa, Rodolfo Gambino e Luigi Morgari. Nella cripta è sepolto il letterato, Giulio Cesare Cordara.
Una chiesa col titolo dei Santi Lorenzo e Clemente esisteva in Alessandria già in età prossima alla fondazione della città. Nel 1347-1350 avviene l’unione della chiesa urbana di San Lorenzo con quella di Santa Maria della Corte di Castellazzo Bormida, per cui i religiosi che officiavano la chiesa di Castellazzo si stabilirono in Alessandria e la chiesa parrocchiale di San Lorenzo fu denominata Collegiata di Santa Maria della Corte. Nel 1565 la visita pastorale segnala l’esistenza di problemi alle strutture dell’edificio (mancanza del pavimento e del tetto), per cui nel 1580 la chiesa viene sottoposta a un parziale intervento di restauro. Nel 1765 l’antica chiesa viene riunita alla Collegiata di Santa Maria della Neve, costretta a lasciare il quartiere di Borgoglio in seguito all’edificazione della Cittadella. Da questa unione ha origine la chiesa parrocchiale attuale. Il progetto si deve all’architetto Giuseppe Domenico Trolli e nel 1770 furono ultimati i lavori. La pianta a croce greca impostata su una base ellittica, con la riduzione del numero degli altari laterali e la compressione dei vani d’angolo, spinse l’architetto Trolli ad adottare il linguaggio barocco. Nel 1770 il pittore Pietro Antonio Pozzo iniziò la decorazione pittorica degli interni, di cui si ricorda l’Assunta nella volta centrale. La chiesa fu infine consacrata dallo stesso vescovo De Rossi il 26 luglio 1772, col titolo di “Insigne Collegiata di Santa Maria della Corte e della Neve, vulgo San Lorenzo”. L’attenzione del vescovo continuò anche successivamente, come testimonia il dono da lui effettuato del dipinto che raffigura San Francesco in gloria (1775), ancora conservato nella cappella di San Francesco di Sales; fino agli anni della dominazione francese la chiesa si arricchì continuamente di opere d’arte piemontesi e lombarde.
La chiesa di San Giovannino è sede della Veneranda Confraternita del Santissimo Crocifisso. Era situata nel quartiere di Gamondio, nella zona vicino alla porta, nelle mura della città e fu costruita a seguito di un lascito testamentario di Stefanino Pupino. Fu ricostruita su una struttura precedente tra il 1707 e il 1717 e fu ampliata nel 1767-69 su disegno di G. Domenico Trolli. Contiene all’interno un notevole bassorilievo tardo cinquecentesco della Crocifissione e alcuni gruppi lignei policromi. La facciata si presenta tripartita da lesene a doppia risega sormontate da capitelli dorici nella parte inferiore e composti in quella superiore. È coronata da un timpano triangolare che culmina in un pinnacolo reggente una croce. Nel registro superiore vi sono le statue raffiguranti san Giovanni Evangelista e san Carlo Borromeo, ai lati della Carità; nel registro inferiore, vi sono la Fede e la Speranza. Nel registro superiore a sinistra è raffigurato san Giovanni l'evangelista. A destra è raffigurato san Carlo Borromeo (contitolare della chiesa) con l'insegna pontificale del pastorale, simbolo della sua dignità di vescovo, di pastore.
Il muro esterno di questo lato presenta una curiosa particolarità: su di esso si vedono conficcate tre palle di cannone (in realtà se ne vede solo una, le altre sono visibili completamente dalle finestre dell'edificio di fronte alla chiesa, in via Legnano). Esse ricordano le offese belliche subite da San Giovannino durante l'attacco del 1745 quando, il 6 ottobre, le truppe franco-spagnole iniziarono l'assedio della città. L'interno a navata unica, è ad aula con due cappelle laterali ed altari rispettivamente dedicati a san Carlo Borromeo, raffigurato in un grande quadro di buona fattura, ed alla Beata Vergine Addolorata. Nella navata in grandi nicchie aperte nei muri laterali e fino al limitare del presbiterio sono collocati altri quattro grandi gruppi lignei, per complessive quattordici statue di dimensioni naturali, settecenteschi, di pregevole fattura, raffiguranti altrettanti episodi dell'antico Testamento.
Sorge in via San Dalmazzo nel luogo in cui, anticamente, sorgeva la chiesa del santo omonimo. La chiesa visibile attualmente fu ricostruita nel 1741 dai Benedettini della Collegiata di Bergoglio, e nel 1833 fu affidata alla confraternita di San Sebastiano. Sconsacrata alla fine dell’Ottocento, fu riaperta al culto nel 1955 e affidata alle suore Apostole del Sacro Cuore.
Sede di una confraternita già esistente nel Quattrocento, la chiesa fu ricostruita una prima volta nel 1588, poi rimaneggiata a fine Seicento e nel quarto decennio del Settecento. L’ultimo intervento è attribuito a Domenico Caselli.
Questa piccola chiesa posta nel punto d'incontro di più strade (via Guasco, via Plana, via Canefri, via Boidi) è interessante in quanto vi è ragione di credere che il piccolo edificio sia stato eretto in occasione di una delle numerose epidemie di peste abbattutesi sulla città, forse alla fine del Quattrocento. L'originaria intitolazione a S. Rocco, al quale era tradizionalmente legato il culto espiatorio dei contagi, rafforza questa ipotesi insieme alla stessa ubicazione della nostra chiesetta, in quanto era consuetudine erigere cappelle votive contro il morbo ai crocicchi delle strade, per consentire ai sacerdoti di celebrare funzioni religiose anche per gli ammalati isolati nelle case e per testimoniare ai passanti, in modo visibile, la riconoscenza della collettività per il cessato flagello.
L’edifico risale alla seconda metà del ‘700. Il vescovo De Rossi affidò l’incarico di progettare i locali per una libreria all’architetto, Giuseppe Caselli, per dotare la città di una biblioteca pubblica aperta a studiosi e letterati, oltre che a seminaristi. Il progetto di biblioteca pubblica incontra nel tempo diverse difficoltà come la soppressione temporanea della Diocesi, la dispersione dei beni ecclesiastici nel periodo napoleonico ecc., fino all’alluvione del 1994. L’inondazione ha danneggiato i volumi del fondo antico, ma ha anche dato il via ad una nuova stagione di interventi importanti: ristrutturazione della sede, restauro dei volumi e catalogazione del fondo antico. Dal 2001 l’edificio ospita la nuova sede della Camera di Commercio di Alessandria.
L'edificio venne costruito tra il 1724 e il 1743 dalla Compagnia di Gesù ed occupava l'intero tratto di via Verona, tra via Volturno e piazza S. Stefano. Tutto l'edificio ad un solo piano fuori terra occupava un'area di 6000 mq. Soppressa la Compagnia di Gesù nel 1773, il collegio fu trasformato in caserma e nel corso degli anni vennero effettuate modifiche all'edificio. Caserma "Vittorio Emanuele" e sede del Distretto Militare sino alla fine della Seconda Guerra Mondiale, nell'immediato dopo guerra il complesso fu concesso dallo Stato al Comune che lo utilizzò per ospitare i senza tetto a seguito degli eventi bellici. L'edificio è stato da poco recuperato e adibito a civili abitazioni di edilizia popolare.
La famiglia Guaracco, originaria di Genova è documentata in città dal 1217. Si estinse con il nobile Pietro, marito di Laura Castellani Varzi, a cui era intestata nel 1763 la “casa con corte” sita nell’isolato 112 allora denominato di San Taddeo.
L’attuale santuario della Madonnina delle Grazie cambiò titolo numerose volte. Nel 1732 venne dedicata alla Beata Vergine delle Grazie per la presenza, all'interno della chiesa, di un affresco della Madonna del Latte. L'affresco, probabilmente in origine si trovava in una cappella fuori porta Ravanale, presso la cascina Testera; nel 1663 venne strappato e traslato nel santuario e da allora fu venerato sotto il titolo di Beata Vergine delle Grazie detta la Madonnina. Il dipinto murale raffigura una Madonna del Latte ascrivibile, su base stilistica, agli inizi del secolo XVI ed è conservato sull'altare maggiore. E’ considerata sede di guarigioni materiali e spirituali e si ricorda per l’evento prodigioso delle campane che suonarono da sole nelle notti del 17-18 aprile 1850.